venerdì 5 giugno 2020

Zibaldone Giacomo Leopardi. #STEP20


Come Leopardi identifica la felicità.


Per esaminare il pensiero di Leopardi sul concetto di felicità è necessario fare riferimento soprattutto allo Zibaldone, ovvero al suo diario personale, cercando anche di tener conto dei diversi periodi in cui le sue riflessioni vengono scritte e delle variazioni che si verificano nella sua concezione del mondo.

Come per gli antichi, anche per Leopardi, la felicità rappresenta la massima aspirazione umana ed è ciò a cui ogni uomo tende in modo univoco. In questo, egli non sembra distaccarsi dal secolo che l’aveva preceduto, ma in realtà la semplice identificazione della felicità con il piacere non risulta soddisfacente per il grande poeta. Infatti, Leopardi non si ferma a queste considerazioni iniziali, ma va molto più avanti nel ricercare in che cosa consiste effettivamente la felicità.

Leopardi nutre una certa sfiducia nella possibilità di trovare la felicità nel mondo in cui viviamo ed essa si accentua nel periodo definito spesso “pessimismo cosmico”. Adesso egli distingue fra due possibili fini ultimi: quello dell’uomo e quello della natura. In un appunto di poco posteriore, Leopardi ribadisce che il fine principale dell’uomo, il suo sommo bene, è rappresentato dalla felicità, ma nessuno, egli dice, sa definire cosa concretamente sia la felicità, perché essa in realtà non esiste, è cosa puramente immaginaria. Come si vede, Leopardi non si accontenta della semplice identificazione della felicità con il piacere, altrimenti non si porrebbe ulteriormente il problema della sua definizione. Inoltre, egli dice, da questa assenza di definizione concreta derivano tutte le dispute che hanno afflitto i filosofi del passato riguardo a cosa sia il sommo bene: se gli uomini fossero stati in grado di fornire un’adeguata definizione della felicità il problema di quale sia il sommo bene sarebbe stato risolto da molto tempo.

Infine, in due appunti più tardi, si trova finalmente una concreta definizione della felicità, diversa dalle considerazioni giovanili e molto più interessante. In una pagina scritta nel 1826 Leopardi dice: “Felicità non è altro che contentezza del proprio essere e del proprio modo di essere, soddisfazione, amore perfetto del proprio stato, qualunque del resto esso stato si sia, e fosse anco il più spregevole”. La grande novità di questa definizione salta subito agli occhi: Leopardi ripone la felicità nella nostra personale soddisfazione, nella contentezza del proprio stato. Secondo Leopardi tutti gli uomini amano se stessi sopra ogni cosa ed in modo illimitato: da ciò deriva che la felicità non esiste né in questo mondo né in un altro, ma è soltanto un’illusione, una cosa immaginaria.

Quanto esposto sopra oltre che a fornire un'immagine sintetica della visione leopardiana della felicità, espone l'enorme ricerca che Leopardi fà al fine di identificare la felicità; l'importanza dello Zibaldone diventa cruciale, siccome ci permette di comprendere appieno l'evoluzione del significato di questa parola per il poeta (senza dubbio una delle questioni più ricorsive nella vita dell'autore), e ci fornisce l'opportunità di rimanere affascinati da un punto di vista ampio e innovativo di tutto ciò che circonda questo termine, lasciandoci ancora oggi riflettere su molte questioni che lo vedono coinvolto.

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